Avvocato
Andrea Cova

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Errori in implantologia


 L’impianto dentale è un dispositivo protesico fisso composto da una radice dentale in titanio, sul quale vengono ancorati uno o più denti artificiali. Lo scopo è quello di riempire lo spazio lasciato libero dai denti persi, ripristinando una corretta funzione masticatoria e la migliore estetica possibile.

A tutti gli effetti, il posizionamento di un impianto è un intervento di tipo chirurgico ed è, quindi, necessario, che il paziente sia consapevole dei vantaggi, ma anche dei rischi che tale terapia comporterebbe nel suo caso. Egli deve inoltre conoscere e valutare le opzioni alternative per risolvere il suo problema, tenendo inconsiderazione anche i risvolti economici.

Per far sì che l’intervento implantologico abbia successo, è quindi necessario eseguire una corretta diagnosi, tramite l'utilizzo diesami strumentali, che tenga conto della situazione della bocca del paziente e delle sue condizioni generali di salute. Sulla base di questa deve essere programmata la terapia più opportuna e le alternative possibili.

Per questo motivo è necessario che prima dell’intervento venga sottoscritto idoneo consenso informato 

La gestione corretta di un impianto dentale ben realizzato fa sì che la prognosi sia assolutamente favorevole, con una durata molto prolungata nel tempo.

Talvolta, tuttavia, si verificano fallimenti precoci dovuti a:

· dolori

· perdita di sensibilità

· sanguinamento ricorrente

· ristagno di cibo

· difficoltà masticatorie

· inestetismi inaccettabili

· mobilità dei denti

· perdita dei denti.

Tra le principali cause di fallimento vi sono:

· integrazione non adeguata degli impianti nell’osso

· protesi non adeguata

· cattiva manutenzione.

Una parte di questi fallimenti può essere ricondotta alla responsabilità dell'operatore, che non ha eseguito correttamente la riabilitazione implanto-protesica e per verificarlo è necessaria la valutazione specialistica da parte di un bravo Odontologo Forense. 

Se l'impianto è eseguito male, incombe sul dentista la prova dell'assenza del nesso causale.
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale del medico, infatti, ai fini del riparto dell'onere probatorio, l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.
Conseguentemente, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del «più probabile che non», causa del danno.
Per effetto del nuovo inquadramento giuridico di cui alla legge Gelli-Bianco, sul paziente che intenda evocare in giudizio il medico del cui operato si avvalga la struttura sanitaria grava l'onere di provare:
1) la condotta quantomeno colposa del sanitario;
2) l'insorgenza o l'aggravamento di una patologia;
3) il nesso di causalità tra l'evento sub 2) e l'azione/omissione del medico.


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