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Andrea Cova

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Il consenso informato in odontoiatria


Il consenso informato nel campo medico, è una forma di autorizzazione concessa da un paziente per ricevere un qualunque trattamento sanitario previa la necessaria informazione sul caso da parte del personale sanitario proponente.

L’espressione “consenso informato” deriva dall’espressione, di origine anglosassone, “informed consent”, adoperata per la prima volta in sede civile nello stato della California nel 1957 relativamente al caso di un soggetto (caso Salgo) rimasto paralizzato a seguito di aortografia translombare, la cui sentenza affermava “il medico ha il dovere di comunicare al paziente ogni fatto che sia necessario a formulare la base di un consenso intelligente al trattamento proposto”.

Ai fini della sua valida espressione il malato ha il diritto/dovere di conoscere tutte le informazioni disponibili sulla propria salute e la propria malattia, potendo chiedere al medico, allo psicologo, all'infermiere o altro professionista sanitario tutto ciò che non è chiaro, e deve avere la possibilità di scegliere, in modo informato, se sottoporsi a una determinata terapia o esame diagnostico. Tale consenso costituisce il fondamento della liceità dell'attività sanitaria, in assenza del quale l'attività stessa costituisce reato. Il fine della richiesta del consenso informato è dunque quello di promuovere l'autonomia o libertà di scelta dell'individuo nell'ambito delle decisioni mediche.

Varie sono le norme internazionali che lo prevedono.

Tra queste possiamo ricordare:

- l’art.5 della Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina (Carta di Oviedo, 4 aprile 1997), prevede che “un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato”.

- L’art.3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza, 7 dicembre 2000), sancisce che “ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica” e che nell’ambito della medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, “il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”.

La disciplina del consenso informato, come espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, trova fondamento negli articoli della Costituzione:

art.2 che tutela e promuove i diritti fondamentali della persona;

art.13 che stabilisce l’inviolabilità della persona;

art.32 che stabilisce che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge

Come ha chiarito la Corte costituzionale, (C. Cost. 22.12.2008, n. 438) il fondamento costituzionale del consenso informato pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali: quello dell’autodeterminazione e quello della salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale.

Nel 2017 in Italia sono state promulgate due leggi che hanno riformato profondamente il “come” si agisce nell’ambito medico-sanitario, con implicazioni sia per i medici, sia per le strutture sanitarie: la legge 24/2017 (“Gelli - Bianco”) e la 219/2017 (“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, detta anche “legge sul biotestamento”), che all’articolo 1 disciplina il Consenso Informato per la prima volta in Italia.

II consenso informato in odontoiatria deve presentare i seguenti requisiti:

1. deve essere informato;

2. deve essere completo e comprensibile, adeguato alle proprietà socio-culturali del paziente;

3. deve essere specifico, in quanto non valgono consensi “prestampati” che non tengano in considerazione l’esatto percorso diagnostico-terapeutico del paziente e che in base a questo siano stati personalizzati;

4. deve essere esplicito, cioè chiaramente reso al paziente in forma orale e/o scritta;

5. deve essere libero da condizionamenti;

6. deve essere espresso dall'avente diritto, cioè tutti i soggetti maggiorenni in grado di intendere e di volere;

7.  deve essere richiesto ai genitori in caso di paziente minorenne, oppure al genitore affidatario in caso di genitori divorziati o al tutore in assenza di questi;

8. deve essere reso dal minore se emancipato con matrimonio;

9. deve essere richiesto al tutore per soggetti interdetti;
per le persone anziane con deficit cognitivi può essere reso da un tutore nominato per incapacità temporanea;

10. deve essere precedente alle procedure diagnostico-terapeutiche in tempi prossimi alle stesse;

11. in ambito odontoiatrico, nel caso dell’utilizzo di radiazioni ionizzanti – nello specifico di radiografie 3D – deve essere raccolto in forma scritta (D. Lgs.230 del 1995);

12. deve essere ottenuto del medico.

Il consenso informato va conservato per lo stesso tempo durante il quale viene mantenuta la cartella clinica, quindi in delle strutture ospedaliere pubbliche per un tempo illimitato, mentre nelle strutture private per dieci anni dopo il termine delle terapie.

Il consenso scritto è stato reso obbligatorio dalla Legge 219/2017, la quale espressamente prevede che debba essere documentato per iscritto o tramite videoregistrazione.

Le complicanze più frequenti vanno accuratamente spiegate verbalmente, oltre che indicate nel modulo.

Gli interventi odontoiatrici sono solitamente d’elezione, non avendo il requisito dell’urgenza. Il consenso può essere dunque consegnato al paziente perché lo esamini o lo faccia esaminare a persone di propria fiducia, in modo che, prima della firma di accettazione del trattamento e dell’inizio della cura, possa richiedere se lo ritenesse necessario ulteriori spiegazioni.

Sarebbe inoltre opportuno che questi non si limitasse alla firma in calce, ma dichiarasse di proprio pugno di aver compreso la natura, gli scopi e i rischi del trattamento, oltre ai propri impegni nel periodo successivo al trattamento, come le visite di controllo, le regole di igiene, la necessità di ulteriori eventuali interventi.

Una parte molto importante all'interno del consenso è legata alla spiegazione dei “doveri del paziente”, che egli deve accettare di adempiere per il buon esito della terapia.

Il riferimento è soprattutto a terapie implantari o ortodontiche, dove la compliance del paziente è essenziale.

Risarcimento danni da violazione del consenso informato

La violazione da parte del medico del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni:

a) un danno alla salute, “quando sia ragionevole ritenere che il paziente - sul quale grava il relativo onere probatorio - se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento (onde non subirne le conseguenze invalidanti)”;

b) un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione ogni volta che “a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute

Perimetrata la questione nei suddetti termini, la Corte di Cassazione III sezione civile con sentenza 11 novembre 2019, n. 28985 ha indicato tutte le ipotesi conseguenti ad una omessa od insufficiente informazione:

1) omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi, nelle medesime condizioni, "hic et nunc". In tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale;

2) omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi. In tal caso, il risarcimento avrà ad oggetto il diritto alla salute e quello all'autodeterminazione del paziente;

3) omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute (inteso anche nel senso di un aggravamento delle condizioni preesistenti) a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi. In tal caso il risarcimento sarà liquidato in via equitativa con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione, mentre la lesione della salute - da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poichè, in presenza di adeguata informazione, l'intervento non sarebbe stato eseguito - andrà valutata in relazione alla eventuale situazione "differenziale" tra il maggiore danno biologico conseguente all'intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto;

4) omessa informazione in relazione ad un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente, cui egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi. In tal caso, nessun risarcimento sarà dovuto;

5) Omissione/inadeguatezza diagnostica che non abbia cagionato danno alla salute del paziente, ma che gli ha tuttavia impedito di accedere a più accurati ed attendibili accertamenti. In tal caso, il danno da lesione del diritto alla autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente alleghi che, dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione, gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente.

Per il risarcimento dei summenzionati pregiudizi, il paziente dovrà dimostrare la relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione - perfezionatosi con la condotta omissiva violativa dell'obbligo informativo preventivo - e conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso eziologico inteso come causalità giuridica ex art. 1223 c.c.

Il concreto, dunque:

a) il fatto positivo da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico;

b) il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla scelta soggettiva del paziente. La distribuzione del relativo onere va individuato in base al criterio della cd. "vicinanza della prova", sicché sarà onere del paziente dimostrarla;

c) il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di necessità/opportunità dell'intervento operata dal medico costituisce eventualità non corrispondente all'"id quod plerumque accidit".

Tale prova, secondo la Suprema Corte, “potrà essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni, queste ultime fondate, in un rapporto di proporzionalità diretta, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell'operazione”.


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