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La perdita di chance


Il danno da perdita di chance di guarigione o di sofferenza, secondo la giurisprudenza oramai unanime di legittimità. consiste nella perdita della mera possibilità di guarire, ovvero di guarire con postumi minori di quelli effettivamente patiti.

In questi casi, perciò, il medico, anche se non può essere condannato a risarcire il danno da morte patito dai congiunti della vittima (rispetto al quale manca la prova del nesso di causa), può tuttavia essere condannato a risarcire il danno da perdita della possibilità di sopravvivere che è un danno non patrimoniale patito dal paziente ed il cui credito risarcitorio si trasmette agli eredi.

La figura della perdita di chances non è prevista e tipizzata dalla legge, ma è una “creatura” della dottrina e della giurisprudenza; nata in seno all'esperienza francese, è presto giunta all'onore delle italiche cronache, ove, ancor oggi, appare di grande attualità (specialmente nel settore della cd. responsabilità sanitaria).

La Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018 n. 5641) ne ha recentemente svelato l'essenza, dichiarando apertamente (seppure per inciso) che essa risponde ad una «scelta, hic et nunc, di politica del diritto, la cui risarcibilità consente (..) di temperare equitativamente il criterio risarcitorio dell'all or nothing».

Nella prassi, la perdita di chance viene generalmente utilizzata per designare fattispecie diverse.

Con tale espressione, infatti, talora si designa il caso in cui l'atto colposo del medico impedisce al paziente di sopravvivere, sopravvivenza che sarebbe stata certa o ragionevolmente prevedibile nel caso di corretta esecuzione della prestazione medica.

In altri casi, l'espressione è usata per descrivere l'ipotesi in cui la condotta del medico ha privato il paziente, della mera possibilità di guarire o di sopravvivere, senza che sia possibile stabilire se tale possibilità fosse alta, media o bassa.

Questa conclusione è stata così argomentata dalla Corte di Cassazione:

a. il patrimonio di ogni individuo contiene non solo beni immobili, mobili e crediti, ma anche speranze, ovvero chances;

b. non essere correttamente curati e perdere di conseguenza con essa la speranza di sopravvivere o guarire, costituisce perciò perdita di un "bene" non patrimoniale e dunque un danno emergente;

c. questo danno, che la corte chiama "il sacrificio delle possibilità", di sopravvivenza o guarigione, è dunque un danno per la cui esistenza basta dimostrare che il paziente aveva delle possibilità statistiche di guarire in caso di cure tempestive e corrette e le ha perdute.

Pertanto, secondo l'opinione della giurisprudenza, il danno da perdita di chiance di guarigione o sopravvivenza:

- è un danno non patrimoniale;

- non richiede la prova che la guarigione, in caso di tempestive cure, sarebbe seguita con certezza o ragionevole probabilità, ma solo la prova che in caso di tempestive cure, esisteva la possibilità di guarigione o sopravvivenza;

- è un danno patito dal cliente e non dai suoi congiunti; in caso di morte del primo, pertanto, possono invocarne il risarcimento gli eredi della vittima (che non necessariamente coincidono con i prossimi congiunti);

- la liquidazione di esso non può che effettuarsi in via equitativa.

Più di recente, la Suprema Corte si è orientata a ritenere che la perdita di una chance di guarigione o sopravvivenza, sia risarcibile solo quando la perduta possibilità di sopravvivere o guarire sia "apprezzabile, seria e consistente".

Stabilire se sia stata la condotta del medico a far perdere la chance di guarire è accertamento di fatto che va compiuto con i criteri comuni e cioè in base al criterio del "più probabile che no".

Pertanto, il medico avrà fatto perdere una chance di guarigione al paziente se, ove fosse stata tenuta la condotta alternativa corretta, il paziente avrebbe avuto più possibilità che no di sfruttare la chance.

La giurisprudenza di legittimità ha, poi, chiarito che qualora l’evento di danno sia costituito non da una possibilità, ma dal mancato risultato stesso ossia dalla perdita anticipata della vita, non è lecito parlare di chance perduta, ma di altro e diverso evento di danno.

In particolare, in ambito di responsabilità sanitaria oncologica, la giurisprudenza ha formulato 5 ipotesi:

1. la condotta (commissiva o omissiva) colpevolmente tenuta dal sanitario ha cagionato la morte del paziente, mentre una diversa condotta (diagnosi corretta e tempestiva) ne avrebbe consentito la guarigione.

In tal caso l’evento – conseguenza di due cause, la malattia e la condotta colpevole – sarà attribuibile al sanitario, chiamato a rispondere del danno biologico cagionato al paziente e del danno da lesione del rapporto parentale cagionato ai familiari.

2. la condotta colpevole del sanitario ha cagionato non la morte del paziente (che si sarebbe comunque verificata), bensì una significativa riduzione della durata della sua vita e una peggiore qualità della stessa per la sua minore durata.

In tal caso il sanitario sarà chiamato a rispondere dell’evento di danno costituito dalla minore durata della vita e dalla sua peggior qualità senza che tale danno integri una fattispecie di perdita di chance.

3. la condotta colpevole del sanitario non ha avuta alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata e sull’esito finale, rilevando in peius sulla diversa qualità di vita e sua organizzazione. Il danno risarcibile sarà rappresentato da tale diversa qualità della vita, senza che sia lecito evocare la fattispecie della chance.

4. la condotta colpevole del sanitario non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata, sulla qualità della vita medio tempore e sull’esito finale. La mancanza di conseguenze dannose della pur colpevole condotta medica, impedisce qualsiasi risarcimento.

5. la condotta colpevole del sanitario ha avuto come conseguenza un evento di danno incerto (incertezza rispetto all'eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze, ritenute soltanto possibili alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo).

Tale possibilità sarà risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta, se provato il nesso causale tra condotta ed evento incerto nella sua necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà e consistenza.

Prova

Il danno va provato facendo ricorso, anche in via esclusiva, alla prova presuntiva che presenti i requisiti della gravità, precisione e concordanza o di calcolo probabilistico.

Il danneggiato deve provare le possibilità che avrebbe avuto di conseguire un risultato diverso da quello in concreto verificatosi. L’idoneità della chance a determinare presuntivamente o probabilmente o possibilmente la consecuzione del vantaggio, rileva ai fini della individuazione e liquidazione del danno.

Il criterio di liquidazione è equitativo. In caso di danno non patrimoniale, il risarcimento non potrà essere proporzionale al risultato perduto, ma commisurato alla possibilità perduta di realizzarlo.

In caso di ritardo diagnostico, a giurisprudenza ha chiarito che sussiste il nesso causale se l’errore ha comportato più probabilmente che non la perdita della possibilità di vivere più a lungo, statisticamente accertata, a prescindere dalla maggiore o minore idoneità della chance perduta a produrre il risultato utile (che rileva solo ai fini della quantificazione del risarcimento).

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