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Andrea Cova

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Ipossia Fetale

La morte prenatale di un figlio rientra nel novero delle drammatiche evenienze che si possono determinare in conseguenza di un errore medico, iscrivendosi nel più ampio contesto di quelli che vengono considerati “danni da parto per malasanità“; tra di essi vi rientra, anche, il danno da morte del feto. 

L’ipossia fetale indica un insufficiente apporto di ossigeno ai tessuti del bambino nel grembo materno ed è una delle principali cause di morte del feto e di morte e invalidità del neonato.

Un errore del sanitario nella mancata o ritardata diagnosi potrebbe portare nei casi più gravi, al decesso o ad una grave invalidità del bambino.

Il medico legale, coadiuvato da un medico specialista e affiancato dal legale, può capire se vi siano stati errori nella diagnosi, nell’esecuzione del trattamento sanitario o nello svolgimento della terapia e verificare se vi sia responsabilità del medico o dell’Ospedale.

Essenziale in questa fase sarà lo studio della documentazione medica, tra cui cartella clinica, esami e consenso informato che dovranno essere richiesti alla struttura.

Si utilizza il termine “neonatale” quando questa situazione si verifica nel travaglio fino al momento del parto e “perinatale” quando la mancanza di ossigeno si verifica entro i 7 giorni successivi alla nascita.

Se la mancanza di ossigeno avviene nel sangue si parla di ipossiemia.

Un bambino ha bisogno di un apporto costante di ossigeno, altrimenti va in sofferenza fetale.

Durante la gestazione l’ossigeno viene trasmesso dalla madre attraverso la placenta e il cordone ombelicale fino al momento della nascita.

Dal momento in cui il cordone ombelicale viene tagliato il neonato respira autonomamente attraverso i polmoni.

L’ipossia è una concentrazione di ossigeno nel sangue inferiore al normale.

Un bambino può sopravvivere solo per un periodo molto breve senza ricevere un sufficiente apporto di ossigeno.

L’ipossia perinatale è spesso causa di asfissia alla nascita: se il bambino non riceve ossigeno a sufficienza per un lungo periodo si possono produrre danni o, addirittura, la morte.

Infatti, il feto sa in qualche modo difendersi, perché dispone di un surplus di ossigeno da utilizzare in condizioni di emergenza.

Ma questo margine di sicurezza è piuttosto limitato e l’ipossia fetale non può durare a lungo senza determinare lesioni e anche morte del feto.

In base alla gravità e alla durata della condizione di insufficienza o assenza di ossigeno, si possono distinguere più gradi di ipossia: da quella acuta, subacuta fino a quella cronica.

Le conseguenze sulla salute del bambino, dovute a sofferenza fetale o perinatale, possono essere lievi o gravi, a seconda della durata e dell’entità della condizione.

Sintomi dell’ipossia fetale

Poiché l’ipossia può portare a lesioni gravi e permanenti, i medici dovrebbero sempre prestare attenzione ai sintomi che fanno capire che il bambino non sta ricevendo un adeguato apporto di ossigeno. Il monitoraggio dello stato di salute del bambino deve essere fatto prima, durante e dopo la nascita (l’ipossia si può verificare anche nei giorni successivi al parto).

Una delle prime indicazioni che il feto sta entrando in condizione ipossica è una frequenza cardiaca irregolare. I medici devono monitorare attentamente la frequenza cardiaca fetale sia durante che dopo il travaglio per assicurarsi che il bambino riceva abbastanza ossigeno.

Segni comuni di ipossia nel bambino

· Letargia infantile o affaticamento, cioè il bambino si muove poco

· Pallore

· Scarso tono muscolare

· Assenza di pianto

· Riflessi scarsi

· Eccessiva acidità nei tessuti e nel sangue

· Meconio (feci) nel liquido amniotico

Uno degli strumenti che serve a verificare se ci sono sintomi di ipossia fetale è l‘indice di Apgar, che è una metodica valutativa per descrivere lo stato di vitalità del bambino dal momento in cui esce dal ventre materno. I parametri di monitoraggio vengono presi a 60 secondi e a distanza di 5 minuti dalla nascita per essere messi a confronto.

Altro strumento di valutazione è l’Emogasanalisi (EGA) cordonale, che serve a misurare il pH arterioso del cordone ombelicale e analizzare l’equilibrio acido-base del feto. Anche l’esame dell’eritropoietina fetale è importante per verificare se c’è stata ipossia intrauterina, specie quando si rinviene presenza di meconio nel liquido amniotico e/o vi sia stata alterazione della frequenza cardiaca fetale in corso di cardiotocografia (CTG).

Monitoraggio della frequenza cardiaca nel feto

Esistono due modi per eseguire il monitoraggio del cuore del feto: uno è esterno e l’altro è interno.

Il monitoraggio esterno è la cosiddetta cardiotocografia (CTG), che si effettua applicando due sonde alla pancia della madre: queste sonde inviano a un computer i suoni del cuore del bambino e i movimenti determinati dalle contrazioni dell’utero materno. I risultati vengono così visualizzati su uno schermo o stampati su carta e consentono di avere dati importanti sulla frequenza cardiaca fetale nel contesto dell’attività contrattile uterina.

Il monitoraggio interno può essere effettuato applicando un filo sottile (un elettrodo) al cuoio capelluto del bambino. Il filo va dal bambino, attraverso la cervice della madre, e poi a un monitor. Questo metodo fornisce letture più affidabili rispetto al monitoraggio esterno, ma – naturalmente – può essere utilizzato solo dopo che il sacco amniotico si è rotto ed è iniziato il travaglio.

Misurata internamente o esternamente, la frequenza cardiaca fornisce ai medici informazioni preziose sul fatto che il bambino stia ricevendo abbastanza ossigeno.

Un battito cardiaco anomalo deve essere attentamente monitorato e devono essere valutate le opzioni di trattamento. I medici possono decidere per un taglio cesareo di emergenza se il bambino è a rischio di lesioni a causa dell’ipossia.

Le lesioni alla nascita non sono sempre prevenibili, ma è comunque necessario intervenire adeguatamente appena compaiono i primi segni di ipossia fetale.

L’ipossia perinatale e l’asfissia perinatale sono responsabili di quasi un terzo di tutte le morti neonatali. Un bambino che sopravvive, ma ha ricevuto troppo poco ossigeno durante il parto, rischia di avere come conseguenza danni cerebrali anche permanenti.

Possibili cause dell’ipossia alla nascita

Ci sono molte ragioni per cui un bambino può non ricevere abbastanza ossigeno prima, durante o dopo la nascita. I fattori comuni possono includere:

· Distacco della placenta;

· Rottura dell’utero;

· Compressione del cordone ombelicale;

· Prolasso del cordone ombelicale;

· Bassa pressione sanguigna;

· Bassi livelli di ossigeno nella madre.

Prevenzione dell’ipossia fetale

L’ipossia perinatale e le sue conseguenze sulla salute del bambino possono talvolta essere prevenute con un’assistenza neonatale di qualità eccellente per la madre, in modo che potenziali problemi vengano diagnosticati prima del parto.

Sintomi che possono far prevedere con anticipo il rischio di ipossia per il bambino sono:

· Placenta che copre la cervice della madre (placenta previa);

· Infezione materna, ad esempio da clamidia;

· Sproporzione cefalo-pelvica;

· Presentazione podalica o altra presentazione anomala;

· Inalazione da parte del bambino di meconio (le prime feci) che sia stato rilasciato nei liquidi durante il parto.

Quando ci sono questi presupposti, va eseguito un monitoraggio attento della madre e del bambino durante il travaglio e nel parto.

Qualora si sia in presenza di un parto difficoltoso, è opportuno evitare l’uso di pinze o aspirazioni, a meno che non sia assolutamente necessario. In tal caso bisogna stare molto attenti ad evitare lesioni alla testa del bambino.

Vanno intraprese azioni tempestive, come eseguire un parto con ventosa o un taglio cesareo, se il monitoraggio indica sofferenza fetale. Aspirazione delle vie aeree del bambino subito dopo la nascita, se esiste la possibilità di inalazione di meconio. Rianimare e curare immediatamente un bambino che appaia ipossico.

Se alcuni bambini non hanno conseguenze a livello di salute, o presentano comunque conseguenze lievi o moderate, altri invece hanno disabilità molto gravi e permanenti. Ad esempio: ritardo dello sviluppo; paralisi cerebrale (compromissione motoria); epilessia; o deterioramento cognitivo.

Se l’apporto di sangue od ossigeno al cervello è stato interrotto, anche il resto del corpo potrebbe aver avuto una carenza di ossigeno. Per questo possono esserci danni ad altri organi, inclusi cuore, fegato, reni ed intestino. Questi organi di solito tornano alla normale funzionalità. Tuttavia, se il cervello ha subito una lesione, potrebbe non riprendersi completamente. Il periodo di tempo in cui il cervello è rimasto senza ossigeno di solito determina la gravità del danno.

Le 48 ore successive all’ipossia da parto sono fondamentali per mitigare i danni al bambino.

Prevenire questo tipo di complicanza del parto attraverso un’eccellente assistenza perinatale e un attento monitoraggio della madre e del bambino durante il travaglio e il parto, è il modo migliore per evitare danni permanenti.

Quando siamo in presenza di ipossia fetale, la diagnosi e il trattamento immediati hanno un ruolo determinante sul futuro della salute del bambino.

Trattamento dell’ipossia alla nascita

I neonati che soffrono di mancanza di ossigeno durante il travaglio o il parto possono ricevere diversi trattamenti per ridurre al minimo il danno al cervello.

L’ipotermia terapeutica è uno dei trattamenti più comuni per l’ipossia. Questo tipo di terapia serve a rallentare il metabolismo cerebrale attraverso l’abbassamento della temperatura corporea. Ciò comporta un’alterazione dei processi chimici del cervello, e riduce il rischio che il bambino subisca danni cerebrali permanenti.

Altri trattamenti per le lesioni cerebrali ipossiche alla nascita potrebbero includere la prescrizione di farmaci per la pressione sanguigna, ventilazione meccanica, dialisi, pompe cardiache, vasche per la respirazione e farmaci inibitori delle convulsioni.

Sicuramente la prevenzione è la cura migliore. Se una struttura sanitaria non riesce ad evitare danni cerebrali permanenti causati dalla mancanza di ossigeno durante il travaglio e il parto, può essere responsabile per i danni subiti dal bambino.

Qualora il medico, l’infermiera-ostetrica o altro professionista sanitario presente prima, durante o dopo il parto non forniscano alla mamma e al bambino lo standard di cura appropriato, e il neonato venga gravemente danneggiato in conseguenza di questo deficit, talvolta è possibile configurare una ipotesi di responsabilità medica. In questi frangenti è opportuno rivolgersi a un legale che abbia specifica competenza in ambito di “malasanità” affinché, con il supporto indispensabile del medico-legale e dello specialista in ginecologia-ostetricia, accerti se tali danni potessero essere evitati e se, quindi, vi siano i margini per intraprendere un’azione risarcitoria.

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