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Andrea Cova

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Il parto prematuro

Un parto pretermine, o parto prematuro, è il parto il cui travaglio ha luogo tra la 20esima e la 37esima settimana di gestazione, posto che la durata della maggior parte delle gravidanze è di circa 40 settimane. Un neonato che vede la luce tra la 37esima e la 42esima settimana è considerato invece a termine.

Il parto prematuro è la causa principale delle morti e malattie neonatali a lunga prognosi, per questa ragione è importante che tutte le gestanti siano adeguatamente informate su quest’argomento: è fondamentale sapere quando può avvenire e che cosa si può fare per prevenirlo.

In Italia il parto pretermine si verifica nel 7% per cento circa delle gravidanze (40000 bambini all’anno), spesso per motivi sconosciuti; si rilevano invece percentuali più elevate negli Stati Uniti (12%) e negli altri Paesi occidentali in genere (9%).

La nascita prima del termine è la causa più comune di morte infantile e di disabilità a lungo termine nei bambini; molti organi, compresi cervello, polmoni e fegato sono ancora in via di sviluppo nelle ultime settimane di gravidanza e quindi quanto prima avviene il parto maggiore è il rischio di invalidità gravi o mortali.

Esiste anche il rischio di avere problemi una volta cresciuti, ad esempio con la manifestazione di ritardi nello sviluppo e problemi dell’apprendimento. Gli effetti della nascita prematura possono essere davvero devastanti e durare per tutta la vita, anche se si verificano talvolta delle eccezioni.

Cause

Le cause non sono ancora state individuate tutte con esattezza: in alcune donne lo stress potrebbe essere una concausa, in altre potrebbero giocare a sfavore alcuni problemi di salute e in particolare la presenza d’infezioni, in altre ancora comportamenti voluttuari come il fumo o l’uso di droghe.

Da un punto di vista generale è possibile classificare l’evento come segue:

- parto prematuro spontaneo,

- parto prematuro indotto per ragioni mediche, per esempio una grave preeclampsia,

- parto prematuro indotto non motivato da ragioni mediche, una scelta presa talvolta durante la programmazione di cesarei e situazioni simili, peraltro fortemente sconsigliata anche nelle settimane di gestazione 37 e 38.

Donne a rischio

Ogni gravidanza può terminare con un parto prematuro, ma alcune categorie di donne ne sono maggiormente a rischio. I ricercatori hanno identificato alcuni fattori di rischio, anche se  in generale non è possibile prevedere quali donne si troveranno a fronteggiare questa eventualità: possedere un fattore di rischio non significa necessariamente dover partorire prima del termine, ma vuol semplicemente dire che si è più a rischio rispetto alla maggioranza delle gravidanze.

Tra i fattori di rischio legati alla gravidanza vi sono:

- gravidanze frutto di fecondazione assistita,

- donne che abbiano già avuto in passato un parto prematuro,

- donne in attesa di due o più gemelli (più del 50% dei gemelli nascono pretermine),

- donne con problemi all’utero o al collo dell’utero (cervice corta o accorciata nel secondo trimestre).

Stile di vita e fattori di rischio ambientali

Alcune ricerche hanno scoperto che diversi fattori, sia ambientali che relativi allo stile di vita, possono aumentare il rischio di parto prematuro. Tra di essi vi sono:

- assenza o ritardo nelle cure parentali,

- fumo,

- alcol,

- uso di droghe,

- violenza domestica (abuso fisico, sessuale o emotivo),

- mancanza di supporto sociale,

- stress,

- famigliarità per parto prematuro,

- orari di lavoro lunghi e lunghi periodi trascorsi in piedi,

- esposizione a specifiche sostanze inquinanti.

Fattori di rischio medici

Alcune patologie che possono insorgere durante la gravidanza fanno aumentare la probabilità di parto pretermine. Tra di esse vi sono:

- infezioni dell’apparato urinario, infezioni vaginali (come vaginosi batterica e tricomoniasi),

- infezioni a trasmissione sessuale e infezioni di altro tipo

- diabete e diabete gestazionale,

- ipertensione e preeclampsia,

- disturbi della coagulazione (trombofilia),

- sanguinamento vaginale,

- malformazioni del feto,

- gravidanza singola, derivante da fecondazione in vitro (FIVET o ICSI),

- alterazioni del peso prima del concepimento (sottopeso od obesità),

- placenta previa,

- aumentato rischio di rottura dell’utero (per esempio a causa di precedente parto cesareo o per presenza di fibromi uterini)

- intervallo temporale insufficiente tra due gravidanze successive (meno di 6-9 mesi tra il parto e l’inizio della gravidanza successiva).

SINTOMI

Un parto prematuro si può presentare con i seguenti sintomi:

- comparsa di contrazioni ogni dieci minuti o con frequenza ancora maggiore (la pancia si contrae a cadenza regolare),

- perdite vaginali insolite (di sangue o altro fluido),

- pressione pelvica (sensazione che il bambino prema verso il basso),

- dolore sordo alla parte bassa della schiena,

- dolore pelvico in forma di crampi simili a quelli mestruali,

- crampi addominali con o senza diarrea,

- rottura delle acque.

PERICOLI

I bimbi nati prematuri corrono un rischio maggiore di andare incontro a complicazioni e disabilità di vario genere, come ad esempio:

- problemi respiratori,

- paralisi cerebrale,

- disabilità intellettiva,

- infezioni gravi,

- malattie intestinali (tra cui l’enterocolite necrotizzante),

- basso peso alla nascita,

- difficoltà di alimentazione,

- organi non ancora maturi e sviluppati.

Si tratta di bambini che spesso necessitano di rimanere in ospedale diverse settimane a seguito del parto, talvolta nelle unità di terapia intensiva neonatale.

La neo mamma invece presenta un aumentato rischio di:

- depressione post-partum,

- aumento del rischio di cesareo, con relative complicazioni.

Terapia

Ad oggi purtroppo gli approcci terapeutici per intervenire e prevenire il parto quando è ancora troppo presto sono limitati, anche ma non solo perché non tutte le possibili cause sono state efficacemente individuate.

In presenza di travaglio si valuta quindi se provare a rallentarlo o interromperlo, sulla base di fattori quali:

- settimana di gestazione,

- sicurezza della mamma e del bambino,

- struttura in cui avviene la diagnosi (potrebbe essere necessaria un’unità di terapia intensiva neonatale),

- desideri della madre.

Tra le possibili opzioni terapeutiche ricordiamo:

Farmaci. Ad oggi l’unico farmaco a disposizione è il progesterone (per esempio Progeffik o Prometrium), il cui nome deriva proprio dal fatto che è un ormone fondamentale in grado di supportare la gravidanza durante tutti i 9 mesi.

Sono poi presi in considerazione medicinali in grado di ridurre o bloccare le contrazioni uterine e farmaci per favorire lo sviluppo del feto (generalmente cortisone, per stimolare la maturazione di polmoni e altri organi, prima della 36esima settimana).

- Chirurgia. Una procedura chirurgica chiamata cerchiaggio può essere presa in considerazione in caso di problemi legati alla cervice (incompetenza cervicale), con l’obiettivo di chiudere più efficacemente l’apertura.

Danni permanenti nel parto prematuro: organi interessati

I polmoni

Il neonato che nasce prima del termine di gravidanza e in particolare prima della 34esima settimana di gestazione, ha un maggior rischio di presentare un’insufficienza respiratoria a causa della mancata maturazione dei polmoni.

La maturazione dei polmoni avviene dopo la 34esima settimana quando viene prodotta una sostanza chiamata surfactante, in grado di permettere al polmone di svolgere correttamente la sua funzione respiratoria al momento della nascita, consentendo l’espansione del polmone durante la fase di inspirazione e la sua retrazione durante la fase di registrazione.

La retinopatia

Un’altra complicanza del neonato nato prematuramente è la retinopatia del prematuro (ROP).

Essa consiste in malattia vascolare della retina e può portare al distacco di questa stessa, determinando quindi la perdita totale e irreversibile della vista.

Possono essere affetti da retinopatia del prematuro i bambini nati gravemente pretermine e a bassissimo peso alla nascita. Le cause della retinopatia del prematuro (ROP) sono riconducibili a 2 elementi principali:

- Immaturità retinica;

- Somministrazione prolungata di ossigeno terapeutico al nato prematuro.

Durante la vita fetale, i vasi sanguigni che nutrono la retina si sviluppano in senso centrifugo, dal nervo ottico centrale alla periferia e terminano questo sviluppo poco prima della nascita. Questa è la normale maturazione retinica nei neonati che nascono al termine della gravidanza. Nel prematuro, invece, tale processo dovrebbe andare a compimento del suo sviluppo fuori dell’utero dove, per far sopravvivere il neonato, si arricchisce l’aria di ossigeno. La presenza dell'ossigeno può inibire la corretta maturazione della retina favorendo  un'eccessiva produzione di un fattore vascolare di crescita (VEGF). Come risultato si ha la formazione di vasi anomali e di un tessuto anomalo (cresta) al limite tra retina matura e immatura. La proliferazione di tale tessuto determina una trazione sulla retina che porta invariabilmente al suo distacco.

I sintomi sono legati al deficit visivo che si manifesta successivamente, con la crescita. La retinopatia del prematuro evolve secondo una progressione che dipende da vari elementi:

- La stadiazione della malattia, che è suddivisa in 5 stadi: dal I° al III° stadio la retina è aderente, mentre gli stadi IV° e V° sono caratterizzati da un distacco di retina che si aggrava con compromissione irreversibile della vista;

- L'estensione della malattia, ovvero la quantità di superficie retinica coinvolta e la localizzazione del tessuto anomalo (la cresta);

- La presenza di congestione e tortuosità vascolare della retina, cosiddetto "plus", indice di particolare aggressività e potenziale evolutivo del danno alla retina.

La diagnosi tempestiva di retinopatia del prematuro (ROP) è un elemento fondamentale per la prevenzione di quella che è la prima causa al mondo di cecità neonatale. Secondo le linee guida internazionali vanno sottoposti a visita oculistica tutti i nati prematuri entro le 32 settimane post-concezionali e al disotto di 1500 g di peso alla nascita. Su richiesta del pediatra neonatologo, la prima visita viene eseguita da un oculista specializzato in tale malattia il quale detterà le scadenze delle visite successive. Questo perché fortunatamente la maggior parte delle retinopatie vanno incontro a guarigione senza necessitare di terapia. Ciò vuol dire che la retina, superato il periodo di arresto o rallentamento della sua vascolarizzazione, è andata incontro spontaneamente a un processo di maturazione completo senza complicazioni di sorta. L’oculista sorveglia che tale processo si porti a compimento senza problemi.

Il ruolo dell'oculista nel decidere il trattamento è nell'anticipare l'evoluzione della malattia verso il distacco di retina e quindi la prevenzione del danno visivo. Classicamente si interviene quando la retinopatia del prematuro (ROP) raggiunge il III stadio, anche se l'estensione della malattia (superficie di retina non ancora matura e localizzazione della cresta) e soprattutto la presenza di "plus" possono rendere necessario l'intervento prima che si raggiunga tale stadio. Il trattamento di elezione è il laser: la sua funzione è di distruggere la retina periferica non matura, poiché è da essa che giunge lo stimolo, attraverso la produzione di fattore vascolare di crescita (VEGF), alla progressione della retinopatia del prematuro (ROP). Altra terapia usata in alternativa o in associazione al laser è l'iniezione all’interno del bulbo oculare (iniezione intravitreale) di un farmaco che antagonizza il fattore vascolare di crescita (VEGF) antiVEGF. La neutralizzazione di tale sostanza infatti inibisce l'evoluzione della cresta permettendo alla retina di progredire nella sua normale vascolarizzazione verso la periferia. La scelta di quale terapia utilizzare è dell’oculista. in base alla valutazione clinica del singolo paziente e alla propria esperienza.

Intestino

I neonati prematuri possono sviluppare l’enterocolite necrotizzante, condizione caratterizzata dalla morte delle cellule che compongono la parete dell’intestino.

Malattia intestinale grave legata alla prematurità. I sintomi compaiono nella seconda settimana di vita. La terapia è medica o chirurgica a seconda della gravità.

L'enterocolite necrotizzante (NEC dall'inglese Necrotizing EnteroColitis) è una malattia intestinale grave del neonato. "Entero" significa intestinale. "Colite" significa infiammazione del colon. "Necrotizzante" significa danno e morte delle cellule dell'intestino.
L'enterocolite necrotizzante (NEC) è la malattia gastrointestinale a più alta mortalità in età neonatale. Colpisce circa 1 neonato su 1000 nati vivi, e può colpire fino al 7% dei neonati con peso molto basso alla nascita. Rappresenta la causa di morte del 15-30% circa dei neonati prematuri colpiti da questa malattia.

Si tratta di una malattia legata alla prematurità. I neonati a termine che sviluppano l'enterocolite necrotizzante presentano generalmente fattori di rischio quali cardiopatie congenite, setticemia o ipotensione (pressione bassa).
Le cause scatenanti non sono completamente note e probabilmente sono molteplici. L'enterocolite necrotizzante è ritenuta una malattia infiammatoria che si innesca quando nella seconda settimana di vita si inizia la nutrizione enterale cui si ricorre spesso nei neonati di basso peso alla nascita. La mucosa intestinale di questi bambini viene aggredita da una grave riduzione dell'afflusso di sangue che provoca così lesioni della superficie interna dell'intestino. Tali lesioni si possono infettare fino a subire una necrosi estesa che può richiedere l'asportazione dei segmenti intestinali colpiti. Generalmente l'attacco ischemico si manifesta a livello dell'ileo (la parte finale dell'intestino tenue) ma, di fatto, qualsiasi segmento del tratto gastrointestinale può essere colpito.

- In fase iniziale i sintomi della enterocolite necrotizzante (NEC) sono:

- Intolleranza all'alimentazione per bocca/enterale;

- Ristagno gastrico;

- Distensione addominale;

- Vomito biliare;

- Sangue macroscopico (evidente ad occhio nudo) oppure occulto nelle feci.

In una seconda fase l'enterocolite necrotizzante si manifesta con i seguenti sintomi:

- Addome teso e dolore alla palpazione;

- Sintomi digestivi;

- Letargia (stato di sonno profondo);

- Apnea (arresto momentaneo dei movimenti respiratori);

- Problemi cardiovascolari che possono richiedere il ricorso alla terapia intensiva.

La visita mette in evidenza i sintomi sopra elencati.
Gli esami di laboratorio necessari sono:

- Esame emocromocitometrico che dimostra incremento dei globuli bianchi e basso numero di piastrine;

- Equilibrio acido-base che dimostra acidosi metabolica;

- Glicemia che può dimostrarsi alta (iperglicemia) oppure bassa (ipoglicemia);

- Elettroliti.

Si rendono anche necessari esami strumentali:- Radiografia dell'addome che mette in evidenza la presenza di livelli idroaerei.
In seguito può manifestarsi pneumatosi intestinale (presenza di gas all'interno dell'intestino) e il portogramma aereo (presenza di gas nel sistema venoso portale). Lo sviluppo di pneumoperitoneo (presenza di aria nel peritoneo, vale a dire nell'addome al di fuori dell'intestino) suggerisce l'evoluzione verso la perforazione intestinale.

La combinazione dei sintomi e dei risultati degli esami di laboratorio e radiografici consentono una classificazione dell'enterocolite necrotizzante (NEC) in tre stadi: stadio I (NEC sospetta), stadio II (NEC definita) e stadio III (NEC avanzata). Ad ogni stadio della malattia corrisponde un trattamento diverso.      
Negli stadi I e II il trattamento prevede:

- Interruzione dell'alimentazione per via orale;

- Inserimento di un catetere venoso per l'idratazione e per la nutrizione parenterale;

- Antibiotici per trattare le infezioni in atto;

- Ossigenoterapia.

Nello stadio III (NEC avanzata) può rendersi necessario un intervento chirurgico che, a seconda dei casi, può consistere in una laparotomia (apertura chirurgica dell'addome) o in un drenaggio peritoneale senza laparotomia.
I pazienti con forme gravi di enterocolite necrotizzante (NEC) sottoposti a laparotomia possono richiedere a loro volta l'asportazione di tratti più o meno estesi di intestino. Questa asportazione determina una condizione cronica nota come "sindrome dell'intestino corto", caratterizzata da malassorbimento: l'intestino rimanente è corto e non è quindi in grado di assorbire i nutrienti necessari.

La somministrazione di latte materno o latte umano donato è fondamentale sia nella prevenzione dell'enterocolite necrotizzante (NEC) sia nel trattamento dell'enterocolite necrotizzante (NEC) chirurgica (stadio III, NEC avanzata). Sfortunatamente non abbiamo strategie nutrizionali che abbiano efficacia nella prevenzione della NEC tuttavia le prove di cui disponiamo suggeriscono che è sicuro avviare la nutrizione enterale entro 96 ore dalla nascita, aumentarla velocemente e utilizzare la nutrizione in boli.
Stante la grande variabilità osservata nelle strategie nutrizionali, è raccomandato che almeno ogni unità di terapia intensiva neonatale abbia un protocollo standardizzato per l’avvio della nutrizione allo scopo di garantire apporti adeguati e minimizzare le complicanze. Sono invece necessari ulteriori studi su:

- Popolazioni particolari di neonati (neonati di peso inferiore a 1000 g e con età gestazionale tra le 28 e le 32 settimane);

- Possibili marcatori di gravità e di andamento della malattia;

- Effetto di specifici nutrienti sul processo di adattamento intestinale.

Relativamente a quest’ultimo punto ci sono prove, sebbene non conclusive, sull’effetto benefico di una dieta ad alto contenuto di grassi, sull’utilizzo di formule idrolizzate e sull’effetto protettivo e preventivo delle formule miste o pure contenenti olio di pesce come fonte di lipidi per via parenterale nei confronti della colestasi e della sofferenza del fegato associata alla insufficienza intestinale.

Encefalo

È necessario il Monitoraggio cerebrale del neonato e cioè il controllo dell'attività, dell'ossigenazione e della struttura del cervello dei neonati ricoverati nei reparti di terapia intensiva neonatale, a maggior rischio di complicanze neurologiche .

I progressi della Neonatologia negli ultimi decenni hanno modificato le prospettive di vita del neonato a rischio, riducendone drasticamente la mortalità. La conseguenza di questi successi è la selezione di una popolazione di neonati a rischio di andare incontro a complicanze che sono la diretta conseguenza della malattia avuta in età neonatale e delle terapie eseguite. Tra le più temibili sono senz’altro le complicanze neurologiche.
Sono proprio queste le motivazioni che ci spingono a introdurre stabilmente, per i neonati critici della terapia intensiva neonatale, un monitoraggio cerebrale non invasivo, che valuti sia l’attività elettrica in continuo, con la metodica chiamata ‘Elettroencefalografia ad ampiezza integrata (aEEG) o Cerebral Function Monitoring (CFM)’, sia il livello di ossigenazione del cervello mediante la “spettroscopia nel vicino infrarosso” (Near Infrared Spectroscopy, NIRS) assieme all’esecuzione di un’ecografia cerebrale, che nel neonato è possibile eseguire attraverso la fontanella anteriore nei primi mesi di vita. In alcuni casi può essere indicato un approfondimento attraverso l’esecuzione della Risonanza Magnetica, che attualmente non richiede più un’anestesia profonda e può essere eseguita anche in un ambulatorio specializzato.

La Elettroencefalografia ad ampiezza integrata (aEEG) permette di registrare in continuo l’attività elettrica cerebrale con due o quattro elettrodi sul cuoio capelluto. Sono ormai numerosi gli esempi che ne dimostrano la validità. Il suo utilizzo nel controllo continuo delle funzioni vitali permette di sorvegliare la funzione cerebrale nei pazienti che hanno una malattia neurologica accertata. Questa tecnica è molto utilizzata per l’identificazione delle crisi epilettiche e per valutare la risposta alla terapia. L’esame è utile anche per la valutazione della maturazione dell’attività cerebrale, ad esempio nei neonati pretermine. L’aEEG è una semplificazione dell’elettroencefalografia tradizionale e, a differenza di questa, ha il vantaggio di permettere un controllo continuo, di essere più semplice da interpretare e quindi di poter essere valutata da medici e infermieri della Neonatologia.

La spettroscopia nel vicino infrarosso (NIRS) è un sistema di visualizzazione non invasiva del cervello che utilizza onde luminose non ionizzanti per registrare, tramite sensori ottici applicati al cuoio capelluto, variazioni nell’apporto di sangue al cervello. Fornisce informazioni sullo stato di ossigenazione dei tessuti e del cervello e quindi dà informazioni indirette sulla circolazione sanguigna. Utilizza La NIRS può essere considerata come una “finestra aperta sul cervello”, ci permette di identificare precocemente situazioni di circolazione sanguigna a rischio e quindi di iniziare rapidamente la terapia adeguata.

L’ecografia cerebrale è una metodica diagnostica non invasiva, utilizzabile a letto del paziente che permette di visualizzare le strutture del cervello e di identificare problemi come emorragie, dilatazioni del sistema ventricolare, alterazioni della sostanza bianca cerebrale. L’ecografia viene eseguita in tutti i neonati prematuri, in quelli con sospetta malattia cerebrale o ogni volta che si voglia approfondire lo studio neurologico.
La Risonanza Magnetica è un’indagine più accurata riservata ai neonati che necessitano di un ulteriore approfondimento dei sintomi neurologici. Essa permette una migliore valutazione di aree cerebrali difficilmente indagabili con l’ecografia transfontanellare. Trova utilizzo non solo nelle malattie malformative e infettive, ma soprattutto nell’encefalopatia ipossico-ischemica. Inoltre la risonanza è utile anche nella valutazione della maturazione cerebrale (mielinizzazione) nel neonato pretermine.

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